Dibattito sul futuro del Pri/In un contesto politico che appare profondamente mutato Serve un'aggregazione laica e liberaldemocratica di Carlo Visco Gilardi Il Segretario del Partito, Francesco Nucara, ponendo con correttezza i termini del problema, ha aperto il dibattito sul nostro futuro, in un contesto politico profondamente diverso rispetto a quello nel quale la maggior parte di noi ha vissuto gran parte della propria azione politica. Ma diverso anche rispetto agli ultimi anni della cosiddetta seconda Repubblica; infatti le ultime elezioni hanno sancito un prevalente orientamento bipartitico che le forze maggiori tendono esplicitamente a consolidare con leggi elettorali aderenti a questo progetto. Dal mio punto di vista dobbiamo tenere il dibattito sul futuro del Partito distinto dalle questioni, altrettanto importanti, relative alla politica nel suo insieme, e in particolare al giudizio sull'attuale governo, sulla sua azione ed in genere sul sistema delle alleanze. Da parte mia non ci sono dubbi sul fatto che il Pri debba stare nell'attuale maggioranza, in qualità di alleato, e debba far sentire la sua voce, sia nel consenso sulle singole proposte o azioni di governo, così come il suo eventuale dissenso. O per lo meno dare indicazioni per scelte diverse, quando fosse necessario ed utile per il Paese. La nostra partecipazione alla coalizione di centrodestra dovrebbe essere ribadita anche per le prossime imminenti consultazioni elettorali, tranne in casi particolari e locali, dove scelte diverse potrebbero essere fatte, senza mutare il carattere generale di appartenenza a questa coalizione. Ho detto che la questione del futuro del Pri dovrebbe essere collocata nell'ambito importantissimo del dibattito interno in un'ottica diversa e meno aderente agli impegni contingenti della politica. Per due motivi. Uno perché l'eventuale chiamata ad aderire o meno al Pdl o a prendere iniziative diverse è da collocarsi in un evento la cui scadenza temporale è determinata nella sostanza da altri soggetti politici; l'altro perché non avrebbe alcun senso che i repubblicani, anche in sede locale, determinassero scelte interne alle loro organizzazioni o eleggessero segretari locali in base alla risposta ad un evento per il momento futuribile. Detto questo, non mi sottraggo al dibattito che si è aperto nel Partito. La tradizione del pensiero repubblicano non è fatta solo di idee sui sistemi economici, sullo sviluppo, sulla politica estera, sulla giustizia, sui valori laici e liberali, che ci hanno contraddistinto sempre, come repubblicani, a nostra volta diversi sempre, ed in qualche modo particolare, dai compagni di strada con i quali si sono condivise e si condividono le scelte di governo. Il pensiero repubblicano è anche contraddistinto da una forte partecipazione democratica al dibattito interno, attraverso forme, forse un po' datate, ma che considero ancora le migliori per consentire ad una organizzazione politica di esprimere idee e valori aderenti, attraverso il dibattito democratico, a quelle che sono proprie degli appartenenti al partito stesso. Certo, dobbiamo anche riflettere sulla nostra organizzazione e su come modernizzarla, ma mi sembra difficile che chi pensa di portare il pensiero ed i valori repubblicani all'interno del Pdl possa pensare di farlo laddove il partito dominante e l'ideatore del nuovo partito non conoscono e non apprezzano palesemente il rituale - come con disprezzo lo definiscono - dei congressi, delle elezioni interne, dei rapporti tra maggioranza e minoranza. E' inevitabile pensare che saremo presto schiacciati ed isolati in un modo non dissimile a quanto accaduto agli amici che, dal 1994 in poi, si sono affannati a portare, all'interno dei vari partiti succeduti al Pci i valori repubblicani. Del resto, tornando al Pdl, non vedo come i nostri valori possano essere difesi in un partito che non mette nemmeno lontanamente in discussione l'appartenenza al Ppe: e con questo dà una adeguata copertura all'on. Binetti e a tutti coloro che hanno sempre fronteggiato in una guerra aperta le battaglie laiche di cui i repubblicani sono orgogliosi. Battaglie certo di idee, ma nelle quali i termini di intesa sono molto lontani. Mi si può dire che altre strade non ce ne sono ed è meglio avere un piccolo diritto di tribuna in un grande ed autorevole contesto che essere costretti ad annaspare di elezione in elezione. A parte il fatto che io credo che il cosiddetto diritto di tribuna diventerà sempre più fievole e si ridurrà ad una mera citazione del nostro passato, ritengo che l'unica iniziativa che si possa intraprendere sia quella che è più aderente alla nostra storia ed alla nostra natura: quella di mettere in campo noi stessi, i nostri valori, le nostre idee, per chiamare, intorno ad un progetto politico comune gli altri laici e i liberaldemocratici che, come noi, vivono una vita politica grama. Ma che come noi sanno che nel Paese ci sono ancora delle attese per queste forze politiche, presenti autonomamente in tutta Europa. Certamente è un compito difficile, che comprende anche un necessario ricongiungimento tra le varie componenti della diaspora repubblicana, perlomeno con coloro che non hanno già stabilito casa in qualche altro partito. Il ritorno nel Pri di Guglielmo Castagnetti, ad esempio, definisce un passaggio che mi auguro diventi una tendenza. Di battaglie assieme ne abbiamo tante da fare e molto importanti. Permettetemi di segnalarne una, forse minore: dobbiamo anche noi batterci perché si ritorni ad un metodo democratico nella scelta dei candidati alle elezioni. O si ritorna al sistema delle preferenze, o si introduce un sistema di elezioni primarie serio e garantito. Certamente un Paese democratico non può affidare a quattro oligarchi le scelte sugli eletti, riducendo le elezioni dei parlamentari ad un atto notarile. |